Romano Bilenchi
((Colle Val d'Elsa, 9 dicembre 1909 – Firenze, 18 novembre 1989)
Nella letteratura italiana esiste un "caso Bilenchi, non amato dai letterati ideologi, considerato invece da molti uno dei maggiori narratori italiani del'900.
Non è grave non averne mai sentito parlare: è imperdonabile. Cresciuto e maturato nel clima letterario degli anni '30, tra i poli estremi della fronda maccariana e della riflessione ermetica (Mario Luzi, Piero Bigongiari) Bilenchi ha tracciato una linea personale di respiro europeo che appare anche oggi l'unica a costituire l'esempio di una tradizione dinamica, sofferta per alto senso civiie e morale dell'arte, tesa al futuro con la sola arma difensiva dei l'intelligenza artistica, del buon senso formale. Il suo Conservatorio di S. Teresa (1939) è una delle poche opere dei nostro secolo ad aver cambiato radicalmente il nostro senso dei romanzo.
Per sua stessa ammissione la forma prediletta è tuttavia il racconto, meglio, il "raccontare" nelle sue forme di invenzione (Anna e Bruno, Mio cugino Andrea, Gli anni impossibili) e di cronaca (I silenzi di Rosai e un po' tutti i profili tracciati in Amici). I lunghi intervalli che hanno separato l'uscita delle sue opere segnano le tappe silenziose di un lavoro formale fuori dei comune.
E' stato direttore dei "Nuovo Corriere" fra il '48 e il '56 e, come giornalista, ha lavorato per la maggior parte della vita. L'impegno politico, insieme alla letteratura, sono le costanti della sua figura schiva, impenetrabile alla volgarità dei "chiacchiericcio" e della "megalomania degli scrittori che parlano troppo di sé". Il silenzio a cui allude è l'unica maniera di lasciar parlare i libri, posto che riescano a farlo veramente. Una sfida, in ogni senso possibile.
Biografia
Romano Bilenchi nasce a Colle di Val d'Elsa nel 1909, da una famiglia di piccoli industriali e con un padre socialista. Dopo aver iniziato gli studi a Siena, Romano inizia a frequentare la classe operaia della sua città nel periodo di fermento culturale e sociale che caratterizza il primo dopoguerra. Dopo essersi trasferito a Firenze, Bilenchi inizia a collaborare a vari periodici politici e letterari, quali “L'Universale”, diretto dal poeta Berto Ricci; la rivista “Il Selvaggio”, sul quale esordisce nel 1930 come collaboratore di Mino Maccari suo amico e corregionale, legato anch’egli alla città di Colle di Val d’Elsa, dove entrambi avevano trascorso la loro giovinezza; “Primato”, diretto da Giuseppe Bottai, e “Bargello”, organo ufficiale del Partito fascista fiorentino. Trasferitosi per un periodo a Torino, nel 1931 diventa caporedattore de “La Stampa”, sotto la direzione di Curzio Malaparte, mentre nel 1934 comincia a collaborare a “La Nazione” di Firenze. Bilenchi inizia a maturare una posizione sempre più critica verso il fascismo, ideologia condivisa finora, ed esce dal partito di Mussolini nel 1940.
Il suo primo romanzo, “Vita di Pisto”, che parla del nonno garibaldino, viene pubblicato nel 1931 per le edizioni della rivista “Il Selvaggio”, ma la prima vera opera di narrativa bilenchiana, considerato il suo capolavoro, è il romanzo “Il Conservatorio di Santa Teresa”, scritto fra il 1936 e il 1938 e pubblicato nel 1940. Seguono, poi, “Anna e Bruno e altri racconti”, del 1938; “Il Mio cugino Andrea”, del 1943, e la trilogia di racconti lunghi “La siccità”, del 1941; “La miseria”, del 1941” e “Il Gelo”, del 1983.
Nel 1943, durante l' occupazione tedesca, è molto attivo nella lotta clandestina e nei primi anni del dopoguerra diventa redattore capo della "Nazione del Popolo", organo del Comitato di Liberazione Nazionale toscano. Si iscrive al Partito comunista, ma, fin dall'inizio, è molto critico nei confronti dello stalinismo, di cui non condivide i metodi autoritari. In questi anni, la sua carriera giornalistica è legata all’avventura del “Nuovo Corriere" di Firenze, di cui è prima caporedattore e, successivamente, dall'11 settembre 1948, direttore del quotidiano che sostiene il Pci, ma senza allinearsi banalmente. Proprio la totale libertà di giudizio, porta presto alla chiusura del giornale e all’abbandono del Pci da parte del Bilenchi.
Nei primi anni Cinquanta, all’epoca della nascita della Guerra Fredda, Bilenchi sostiene la necessità di tentare un dialogo con il mondo cattolico fiorentino e, dopo alcuni anni di colloqui, nel 1955, riesce a convincere il sindaco di Firenze, Giorgio La Pira, ad organizzare a Firenze un confronto tra i sindaci delle città del Patto di Varsavia e quelle della Nato, che, alla fine dei colloqui, firmeranno un patto d'amicizia in Palazzo Vecchio. Dal 1954, insieme a Carlo Salinari e Antonello Trombadori, Bilenchi è direttore de “Il Contemporaneo”. Nel 1972 esce il suo ultimo romanzo “Il bottone di Stalingrado”, con il quale vince in quell’anno il Premio Viareggio, mentre nel 1976 esce il volume di ricordi “Amici”, dove Bilenchi parla dell’amicizia con Elio Vittorini e degli amici di sempre, da Ottone Rosai a Mino Maccari, da Leone Traverso a Ezra Pound fino a Eugenio Montale e ad altri nomi meno noti ma amici veri per lo scrittore e giornalista. Romano Bilenchi muore a Firenze nel 1989.
|