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Cronaca di un secolo in Toscana
Firenze la Sera
Settembre 1986
Gli scrittori a Firenze e in Toscana
 
         
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Firenze la Sera - Settembre 1986
Gli scrittori a Firenze e in Toscana

Nino Filastò, Paolo Vagheggi e Angelo Perugini

Foto sopra: Nino Filastò, Paolo Vagheggi e Angelo Perugini nel 1986

Gli scrittori a Firenze e in Toscana
di Fabrizio Bagatti

L'articolo che riproponiamo, dedicato agli scrittori fiorentini e toscani degli anni '80, è stato pubblicato nel settembre 1986 sul mensile "Firenze la Sera"

Per una città che "tenta inutilmente da un paio di secoli di assomigliare a Parigi, diventa difficile sottrarsi alle mode più strillate anche nel campo della narrativa. Rispetto però al più mistico battaglione dei poeti, la pattuglia dei prosatori sembra più ridotta, anche se è lecito sospettare che anche in questo campo il settore dei "sommerso" sia quello che nobilita il nostro paese. Ma almeno bisognerebbe riuscire a capire chi sta sott'acqua per scarsa disposizione al nuoto di stile e chi, invece, ci affoga perché qualche diabolico maneggione si diverte a non lasciarlo galleggiare.
Una cosa, questa, non facile anche perché fra le altre mode c'è sempre quella dei piagnisteo creativo a cui è così dolce abbandonarsi nell'intimità dei salotti o delle conventicole che godono ad autodefinirsi "cenacoli" letterari. Ironia a parte va osservato che tracciare un profilo di Firenze dal punto di vista dei suoi scrittori di prosa, più o meno conosciuti, serve a costruire un bel calco in negativo dei clima culturale cittadino. Tranne alcune eccezioni, infatti, chi per un verso o chi per l'altro, tutti contribuiscono a dirci proprio quello che Firenze non riesce più a rappresentare. E sarebbe facile dimostrare che quando questa uguaglianza si è realizzata (i tempi mitologizzati di Giubbe Rosse, Paszkowski, S. Marco) le punte di diamante erano fiorentine solo per residenza occasionale. Prima allora di scendere in dettagli, sarà bene forse ricordare quella sconsolata riflessione di Brecht che, parlando di se stesso per primo, rilevava come la letteratura sia sempre così lontana dai luoghi dove si svolgono gli eventi veramente decisivi della vita".
Quella che di seguito vi proponiamo è una mappa aggiornata, seppure incompleta e parziale di tredici scrittori legati a Firenze o perché ci vivono o perché legati alla città.

ROMANO BILENCHI
(Colle Val d'Elsa, 9 dicembre 1909 – Firenze, 18 novembre 1989)
Nella letteratura italiana esiste un "caso Bilenchchi, non amato dai letterati ideologi, considerato invece da molti il m
aggior narratore italiano vivente.
Non è grave non averne mai sentito parlare: è imperdonabile. Cresciuto e maturato nel clima letterario degli anni '30, tra i poli estremi della fronda maccariana e della riflessione ermetica (Mario Luzi, Pie
ro Bigongiari) Bilenchi ha tracciato una linea personale di respiro europeo che appare anche oggi l'unica a costituire l'esempio di una tradizione dinamica, sofferta per alto senso civiie e morale dell'arte, tesa al futuro con la sola arma difensiva dei l'intelligenza artistica, del buon senso formale. Il suo Conservatorio di S. Teresa (1939) è una delle poche opere dei nostro secolo ad aver cambiato radicalmente il nostro senso dei romanzo.
Per sua stessa ammissione la forma prediletta è tuttavia il racconto, meglio, il "raccontare" nelle sue forme di invenzione (Anna e Bruno, Mio cugino Andrea, Gli anni impossibili) e di cronaca (I silenzi di Rosai e un po' tutti i profili tracciati in Amici). I lunghi intervalli che hanno separato l'uscita delle sue opere segnano le tappe silenziose di un lavoro formale fuori dei comune.
E' stato direttore dei "Nuovo Corriere" fra il '48 e il '56 e, come giornalista, ha lavorato per la maggior parte della vita. L'impegno politico, insieme alla letteratura, sono le costanti della sua figura schiva, impenetrabile alla volgarità dei "chiacchiericcio" e della "megalomania degli scrittori che parlano troppo di sé". Il silenzio a cui allude è l'unica maniera di lasciar parlare i libri, posto che riescano a farlo veramente. Una sfida, in ogni senso possibile.

RODOLFO DONI
E' lo pseudonimo di Rodolfo Turco, nativo di Pistoia (1919) e trasferitosi a Firenze per motivi di lavoro più che di letteratura.
Fin dal suo primo libro (Società anonima del '57) non ha mai smentito la sua vocazione cattolica e la ricerca di una motivazione religiosa e umanistica realizzata, a volte, con soluzioni stilistiche un po' scontate.

Nel febbraio del 1986 è uscito un suo ritratto di Giorgio La Pira dal titolo La città sul monte. Non ha incontrato difficoltà a far realizzare uno sceneggiato televisivo dal suo romanzo Giorno segreto (76) né a dichiarare la sua preferenza per il cinema di Godard, il che, considerata la sua connotazione ideologica, è esempio di buona intelligenza.

NINO FILASTO'
Con Menduni, Perugini e Vagheggi rappresenta un po' quello che c'è di nuovo nella letteratura fiorentina verso la fine degli anni '80, anche se i quattro non rientrano in un ambito letterario tradizionale.
Antonino Filastò, di professione avvocato, è nato a Firenze nel 1938. Dal 1958 al 1973 ha lavorato alacremente anche per il teatro dirigendo prima il Centro Universitario teatrale di Firenze e poi il Gruppo di teatro sperimentale sempre di Firenze. Ha scritto e rappresentato anche diversi testi.
Intensa la sua attività letteraria: fantascienza, gialli, racconti, commenti ed articoli di attualità e costume, anche sulla nostra rivista Firenze la Sera. Di particolare interesse la sua inchiesta sul mostro di Firenze, pubblicata in un quotidiano fiorentino. Il suo esordio come romanziere (La proposta, '84) fu subito un successo: con questo libro, infatti, ha vinto il Premio Italia 1985, destinato al miglior romanzo di fantascienza dell'anno.
Ma anche il 1986 ha portato a questo quasi cinquantenne di statura alta e di aspetto imponente, insomma le "physique du róle" del grande scrittore, un riconoscimento importante: la vittoria nel Premio Alberto Tedeschi per il romanzo giallo La tana dell'oste, nel quale affronta con coraggio temi di cronaca italiana, a volte spiacevoli, senza tentare di velare la realtà con artifici retorici.
Personalità versatile (ha lavorato 4 anni in pubblicità dopo la laurea, è attualmente uno dei penalisti più noti d'Italia ed è stato impegnato più volte nei più importanti processi di terrorismo), sta lavorando al suo terzo romanzo, Tre giorni nella vita dell'avvocato Scalzi.

MASSIMO GRIFFO
Ha esordito pubblicando racconti su "Il Caffè" verso la fine degli anni '70. Poi, con Futuro anteriore, edito da Rusconi, sua opera prima, ha vinto il Premio Viareggio nel 1981. E' autore anche del volume Firenze antica, storia di Firenze dalle origini alla morte di Lorenzo il Magnifico. Collabora con le pagine culturali de "Il Giornaie" di Milano.
Griffo è uno scrittore appartato che divide la sua attività di autore con quella di antiquario. E proprio da questa esperienza trae alcune delle sue fonti d'ispirazione. Non frequenta molto né i salotti, né i premi letterari e vive abbastanza in disparte dall'ambiente intellettuale fiorentino, lavorando silenziosamente, ma con grande impegno.

ENRICO MENDUNI
Nato nel '48, è stato uno dei più giovani membri dei Comitato Centrale dei PC. Il suo esordio come scrittore è freschissimo: aprile 1986, con Caro PCI, romanzo autobiografico in cui narra le disavventure di un giovane funzionario comunista alle prese con la macchina burocratica dei partito. Caro PCI è destinato, il successo lo confermerebbe, a collocare in area maledetta toscana la corrente più irrequieta del rinnovamento comunista.
Apprezzabile anche dal punto di vista linguistico, il libro è importante soprattutto per le ragioni che hanno spinto Menduni alla rivolta letteraria contro la "nuova classe" dei PCI. Insomma, un piccolo caso Gilas. Ma non siamo nella Jugoslavia degli anni '50, quindi per ora l'autore ci ha rimesso soltanto il posto nel Comitato Centrale.

GIUSEPPE NOFERI
(1917-1995)
Un altro convenuto a Firenze dagli immediati dintorni e alla letteratura da lontani orizzonti. Nato a Figline Vaidanno, è Primario di una Divisione di Medicina Generale a Firenze. Forse proprio dalla situazione della ricerca medica (fra i vari "gialli scientifici" il più cruento) estrae una scelta narrativa e drammatica tutta incentrata sui poliziesco.
Già alla fine degli anni '50 inizia a scrivere commedie "gialle" rappresentate in teatro e televisione (RAI e Svizzera). Crea alla fine il personaggio del Commissario Esposito, le cui inchieste sono raccolte in un grosso volume edito nel 1986 da Tedeschi con un buon successo di critica e di pubblico.

ANGELO PERUGINI
Trentasettenne, ex-fotografo, ipnologo e direttore di una scuola per stranieri, l'estroverso romanziere con il suo primo libro Lovemobile sembra partito col piede giusto in un difficile campo come quello di una letteratura dissacrante e ironica che non risolve nel solo sberleffo gli aspetti anche drammatici della realtà fiorentina degli ultimi anni.

VASCO PRATOLINI
(1913- 1991)
Nato nel 1913, Pratolini è stato per anni il simbolo di una ben precisa Firenze, legata nel bene e nel male alla violenza livida degli ambienti popolani, alle figure "eroiche" di giovani travolti dalla guerra e dal fascismo o impegnate nella costruzione di una nuova coscienza sociale. Interamente autodidatta, Pratolini esordì nell'ambiente delle riviste "Solaria" e "Campo di Marte" sulle quali pubblicò i primi racconti.
Il successo gli arriva dopo la guerra con Cronaca familiare, prima, e con Cronache di poveri amanti poi, dal quale venne anche tratto un celebre film.
Il suo caso letterario trovò una risonanza fortissima nella critica, che lo individuò come l'esempio più evidente di quel "neorealismo" divenuto poi terreno di un dibattito lacerante.
In ogni caso non si deve pensare a Pratolini come al creatore di una moda letteraria, ma piuttosto al tentativo di innalzare, tramite l'esperienza del'ermetismo, le tematiche populistiche in una scelta stilistica sobria e dignitosa.
La trilogia di Una storia italiana ne è il risultato diretto: Metello, Lo scialo e Allegoria e derisione sono anche un percorso di uscita dai regionalismi verso una più ampia visione nazionale.
Numerosissimi i premi assegnatigli: insieme a Bilenchi è stato insignito della laurea ad honorem dell'Università di Firenze.

PIER0 SANTI
(1912-1990)
Forse maggiormente conosciuto nell'aambito fiorentino per la sua intensa attività di critico d'arte (aprì negli anni '50 la gaiieria d'arte L'indiano), autore di un discreto studio sull'opera di Rosai, di cui era amico assieme allo stesso Bilenchi, Santi viene ricordato molto meno per la sua opera di narratore.
Il suo esordio era avvenuto nel '39 con Amici per le vie, legato indissolubilmente alle esperienze personali del periodo. L'aneddotica sul tempo, floridissima, riporta di suoi dissidi "amichevoli" sostenuti per amore della figura letteraria di Giovanni Papini, allora molto in ribasso fra i giovani. Attraversata l'esperienza diaristica, un tentativo di bilancio forse troppo precoce, Santi torna ai racconti con Ombre rosse ('54) e al romanzo con Il sapore della menta ('63), la cronaca delle sue esperienze omosessuali nei cinema fiorentini.
Il libro quando uscì provocò non poco scandalo, in quanto per la prima volta si affrontavano temi scottanti con linguaggo crudo e immediato.
Nell'opera successiva, Libertà condizionata ('66), Santi critica il convenzionaiismo dell'ambiente culturale fiorentino legato ai mille pregiudizi piccolo-borghesi. Amico di Gide, di Gadda, di Montaie, negli ambienti critici solo a stento viene definito romanziere. Né forse lui stesso riesce a rendersi conto di quanto, sotto questo aspetto, gli siano nocivi gli sforzi di affermare verità solide nella semovente palude dell'arte contemporanea.

GIORGIO SAVIANE
(1916-2000)
E' uno degli scrittori italiani di maggior successo e ciò gli ha procurato molte invidie specialmente nell'ambiente provinciale degli intellettuali fiorentini.
Nato a Castelfranco Veneto nel 1916, ha studiato e si è laureato in Giurisprudenza a Padova. Dopo l'esperienza della guerra partigiana, è attratto da Firenze e da ciò che la città rappresenta per la cultura. Si trasferisce quindi in Toscana dove inizia la carriera di avvocato, che esercita per molti anni parallelamente al suo impegno di scrittore.
Nel 1976 il critico Carlo Salinari gli ha dedicato una monografia nella quale lo definisce "scrittore atipico il cui cammino si svolge solitario, ai margini della letteratura ufficiale". In effetti, Saviane, scrittore non sperimentale nello stiie, ha sperimentato l'innesto, nel romanzo, di una fitta problematica obbligandolo ad una singolare avventura di idee e di utopia: dal problema della massificazione dell'uomo (Le due folle, '57, suo romanzo d'esordio) a quello dell'infallbilità dei papa (Il papa, '63), da quello dell'evoluzione dell'uomo (Il mare verticale, '73) all'utolpia della madre culturale come sostitutiva dell'amore naturale (Eutanasia di un amore, '76). Questo romanzo appunto è stato uno dei più grandi successi letterari degli ultimi anni.
Un'altra delle motivazioni costanti della narrativa di Saviane è quella religiosa: Getsemani risponde appunto al tentativo di voler definire fisicamente e psicologicamente il Gesù Cristo dei nostri giorni.
Il tesoro dei Pellizzari è l'ultimo nato, anche se da molto tempo nel cassetto, e cioè fin dagli anni della gioventù.
La sua opera omnia è stata recentemente pubblicata da Mondadori, onore questo riservato a un numero ristretto di autori, pochi dei quali viventi.
Il salotto della sua casa sul Ponte Vecchio ospita sovente incontri fra intellettuali e amici non solo fiorentini.

SAVERIO STRATI
Calabrese del 1924, arriva a Firenze, negli anni '50 con un passaporto di studi vistato da due considerevoli maestri: Galvano Della Volpe e Giacomo Debenedetti.
Il suo insistere nelle tematiche dei meridionalismo non lo ha condotto, come è avvenuto per Corrado Alvaro o Mario La Cava, suoi conterranei, a riscattare le origini in un impegno più ampio; la sua strada si è ripiegata in una rappresentazione della povertà che ne limita lo stile e le possibilità.
Molto tradotto all'estero e vincitore di premi illustri (Campiello e Saint-Vincent). Il meridionalismo ha oggi palati più esigenti di quelli che poteva presupporre Francesco Jovine che aprì questo "filone". Il romanzo di Strati su cui concorda maggiormente la critica è Tibi e Tascia.

MARIO TORINO
(1910-1991)
Nato nel 1910, arriva alla letteratura da una strada traversa, l'attività di Primario dell'Ospedale Psichiatrico di Magliano (Lucca).
Due romanzi ricalcano direttamente queste esperienze: Le libere donne di Magliano (1953, un successone) e Gli ultimi giorni di Magliano (1982, un successino).
Tobino è riuscito un po' a salvarsi dal gorgo del conformismo letterario (Il clandestino, Sulla spiaggia e di là dal molo) poi si è stancato di lottare ed è defluito nelle ricostruzioni storicheggianti, cullandosi nel morbido abbraccio dei Medievismo.
I soliti ignoti tuttavia sussurrano che egli rimpianga ancora i bei tempi gloriosi quando, da ragazzo, a Viareggio, dava basaglianamente libero sfogo alla propria indole ribelle nella banda della "teppa del Piazzone". Malinconiche, comunque, le periodiche ricomparse nel racconto o nel romanzo (ad esempio La ladra) con un tremito stilistico da sopravvissuto.

TOMMASO URSO
Fra i tanti che scrivono per mestiere e per passione, per volontà o velleità, non si poteva lasciar fuori un personaggio come Urso che scrive per amore di erudizione (intesa però in senso buono). Se vi capita di girare per biblioteche, specie universitarie, cercate l'aroma inconfondibile del sigaro toscano e lo troverete di sicuro. Capace di scritture tecniche poliedriche (suoi anche un "Contributo alla storia delle ferrovie toscane" e una consultatissima "Introduzione alla biblioteconomia") Urso ha ogni tanto spiazzato i pochi che lo conoscono con prose che, come in altri tempi, si sarebbero definite 'd'arte" se non avessimo nel frattempo maturato una migliore coscienza delle tautologie. Fra le sue opere segnaliamo Tempo fiorentino
e L'anno delle farfalle.

PAOLO VAGHEGGI
Vagheggi, trentacinquenne aretino, finora noto come corrispondente da Firenze della Repubblica e per il suo immarcescibile impermeabile bianco, ha esordito in letteratura alcuni mesi fa.
Ha pubblicato infatti direttamente in inglese, in collaborazione con la giornalista d'oltre Manica Magdalen Nabb (anche lei residente in città), un interessante esempio di fantapolitica.
Si tratta di un romanzo, The prosecutor (Il promotore), pubblicato alcuni mesi fa dalla Collins di Londra, che subito è salito ai primi posti nella classifica delle vendite in Gran Bretagna.
Il libro non è ancora uscito in Italia (gli autori stanno trattando in questi giorni con un grosso editore milanese), e ne anticipiamo pertanto la trama che riapre nuovi e inquietanti interrogativi sull'omicidio di Aldo Moro.
The prosecutor, il protagonista (che un iettore attento troverà assai somigliante al giudice Pier Luigi Vigna), è un magistrato fiorentino, Lapo Bardi.
E il 1988. Dal rapimento e l'uccisione di Carlo Rota sono ormai passati 10 anni. Non tutti gli autori di quel crimine, opera delle Brigate Rosse, sono stati catturati. In Italia molti preferirebbero stendere un velo di silenzio sopra la vicenda anche se la battaglia contro il terrorismo continua.
A Firenze c'è un sostituto procuratore, Lapo Bardi, che combatte in modo spietato. Anni di successo e autonomia lo hanno reso arrogante, ambizioso. E' convito dell'esistenza del Grande Vecchio e lo vuole smascherare. Troverà la strada interrogando un personaggio minore delle BR che si è pentito. Ma gli ostacoli da superare sono molti: ci sono quelli creati dai terroristi; c'è un codice segreto da decifrare - ci sono i servizi segreti che non collaborano. E sopra tutti ci sono importanti personaggi della Chiesa e dello Stato, che sono pronti a salvare ma anche a distruggere la figura di questo magistrato.
Lapo Bardi è in contrasto anche con il Procuratore della Repubblica a causa di un'inchiesta in cui è coinvolta l'aristocrazia fiorentina. Riuscirà lo stesso ad avvicinarsi alla verità. Scoprirà che Rota prima di essere ucciso è stato confessato da un alto prelato vaticano, monsignor Lazurek, che i servizi sapevano ma non agivano perché ormai troppi interessi, compresi quelli della loggia massonica P2, erano in gioco.
Bardi si trasferisce a Roma e continua le indagini. Raggiungerà la meta, riuscirà a sapere proprio tutto ma...
Il finale è amaro e a sorpresa.

 
 
     
   
   
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