Il 
                Duomo 
                L'originaria chiesa di S. Martino risale al V-VI secolo. Fu il 
                vescovo Anselmo da Baggio (che sarà poi papa Alessandro II) a 
                ricostruirla completamente e a consacrarla nel 1070. Ma il duomo 
                subì presto nuove modifiche: dal 1150 fino alla seconda metà del 
                Quattrocento l'edificio venne gradatamente ampliato e trasformato, 
                senza che queste sovrapposizioni di stili ed epoche ne turbassero 
                l'armonia complessiva. La parte più antica della chiesa che si 
                ammira oggi è la facciata romanica, la cui parte superiore fu 
                portata a termine nel 1204 da Guidetto da Como, come documenta 
                anche un'iscrizione. L'atrio venne realizzato e decorato tra il 
                1233 e il 1257, mentre l'abside è degli inizi del Trecento. La 
                più consistente modifica si ebbe a partire dal 1372, con la "rivoluzione" 
                in senso gotico delle strutture interne, che conferì al Duomo 
                l'aspetto odierno. Del Quattrocento sono le decorazioni esterne 
                della navata centrale e delle trifore del matroneo.
                La 
                facciata, splendido esempio di arte romanica lucchese, risente 
                indubbiamente degli influssi del Duomo di Pisa, che suggeriscono 
                un interessante ricorso all'ornamentazione. 
                La parte superiore, a loggette sovrapposte (ma manca l'ultimo 
                ordine di logge), presenta tarsie figurative bianche e verdi con 
                rosette, stemmi e soggetti zoomorfi particolari. Capitelli e cornici 
                presentano invece draghi, leoni, bestie feroci, sirene e figure 
                umane. Su una mensola esterna, copia in vetroresina dell'antica 
                statua di "S. Martino e il povero", trasferita nell'interno del 
                Duomo. Sul semipilastro di destra è inciso nel marmo un simbolico 
                Labirinto, che reca la scritta latina:
                HIC QUEM CRETICUS EDIT DEDALUS EST LABERINTHUS DE QUO NULLUS VADERE 
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                Di notevole interesse l'atrio, formato da sette arcate cieche 
                di stile romanico. Splendidi il "Martirio di S. Regolo" nella 
                lunetta del portale di destra, le "Storie di S. Martino" nei pannelli 
                disposti tra i portali, i simboli raffiguranti i mesi dell'anno 
                e le preziose tarsie con medaglioni di epoca romana (IV secolo) 
                e medievale. 
                L'interno, vasto e suggestivo, presenta un compromesso tra forme 
                romaniche e gotiche. Lo slancio dei pilastri e delle linee verticali 
                è bilanciato dagli archi a tutto sesto, mentre il tetto è a volta. 
                A ridosso del muro dell'atrio c'è l'originale del gruppo marmoreo 
                di "S. Martino e il povero", opera di un ignoto maestro lombardo 
                del Duecento. Sulla navata destra da segnalare l'Ultima cena" 
                dipinta dal Tintoretto nel 1590 su commissione. 
                Nella sacrestia una pala d'altare di Domenico Ghirlandaio (1449-1494) 
                con Madonna e santi, mentre nel transetto destro si segnala il 
                monumento funebre di Pietro da Noceto, opera di Matteo Civitali 
                (1472). Sempre del Civitali sono i due angeli adoranti della Cappella 
                del Sacramento. Notevole l'altare della Liberà, nella testata 
                della navata sinistra, opera del Giambologna (1579): nella predella 
                è scolpita una veduta di Lucca del Cinquecento.
                A metà della navata sinistra si trova l'elegante tempietto ottagonale 
                in marmo bianco di Carrara e porfido realizzato da Matteo Civitali 
                nel 1484, al cui interno è custodito il famoso crocifisso ligneo 
                detto "Volto Santo" o "Santa Croce". La leggenda racconta che 
                questa statua fu scolpita in un cedro del Libano da Nicodemo, 
                la cui mano fu guidata dagli angeli. 
                Nascosto fino all'VIII secolo, il "Volto Santo" venne poi messo 
                su una barca a vela sulla quale sfidò le tempeste del Mediterraneo, 
                sfuggì ai pirati e approdò infine sulla spiaggia di Luni. Qui 
                fu collocato sopra un carro trainato da giovani buoi che si diressero 
                spontaneamente verso Lucca. La leggenda del "Volto Santo" e dei 
                suoi miracoli si diffuse ben presto in tutta l'Europa medievale, 
                tanto che il re Guglielmo II d'Inghilterra giurava sul "sanctum 
                Vultum del Luca"Š Anche Dante lo cita nel XXI canto dell'Inferno, 
                come simbolo di Lucca, che compare anche sulle monete e sui sigilli 
                dei cambisti. Quanto alla reale datazione dell'opera, si pensa 
                ad una copia lombarda forse duecentesca di una scultura più antica, 
                forse siriana. Il colore scuro del legno è dovuto in parte all'annerimento 
                prodotto dai fumi delle candele e dell'incenso nei secoli. 
                Nel centro del transetto sinistro è collocato il celebre sarcofago 
                di Ilaria del Carretto (vedi), realizzato da Jacopo della Quercia 
                nel 1407-08. Su un lato corto, lo stemma inquartato dei Guinigi-Del 
                Carretto. Si contempli in silenzio il bel volto marmoreo della 
                moglie di Paolo Guinigi, morta giovanissima. L'immagine di Ilaria, 
                avvolta in un panneggio dolce e fluente, trasmette un senso di 
                profonda calma, una ricerca di equilibrio classico dal respiro 
                già rinascimentale. L'opera (forse in origine una tomba terragna) 
                inizialmente si trovava nel transetto destro del Duomo, poi fu 
                spostata vicino alla sacrestia, quindi nella cappella Garbesi, 
                poi a ridosso del transetto sinistro e infine nella collocazione 
                attuale con l'aggiunta del sarcofago.